L’ETERNO RITORNO DI BERLINO

Dopo ieri sera siamo finalmente coscienti di trovarci in un vortice in cui inizio e fine si congiungono all’infinito. Berlino è l’inizio, Berlino è la fine.  In mezzo una b minuscola,  di gran lunga meno prestigiosa, ma che è servita all’eterno ritorno della Juventus, che è l’unica cosa certa dell’esistenza.  Si potranno vendere i  Zidane, si potrà perdere qualche pezzo in Australia, India o giù di lì, si potranno stressare i Conte, ma il bianco e il nero ritorneranno sempre, e da ieri questo è ancora più chiaro.

L’eterno ritorno si è sublimato nella parabola del figliol prodigo: solo che stavolta si è presentato faccia pulita e armato, e ha fatto una macelleria messicana delle figurine dall’altra parte. Niente banchetto in suo onore quindi, anzi, la prossima volta esulta, caro Alvaro, che i fischi del Bernabeu valgono di più di una standing ovation quando esci dal campo.

Per il resto hanno  provato a schiacciarci ma oramai subiamo di tutto senza batter ciglio, tanto che il buon Max nel secondo tempo per poco non se la porta a casa; ma si sa, le vittorie imperfette sono le più belle.

Ieri non è stata la vittoria della squadra, che ora ha ben 2 finali in pochi giorni da disputare, ma della società, che dovrebbe mandare alcuni suoi dipendenti in giro per l’Italia (e non solo), cancellare le lavagnette di pseudo-allenatori colorate di blurossogialloverde e piene di schemi, fatturati, budget e scriverne solo una di parola, a caratteri cubitali, PROGRAMMAZIONE! Perché mentre noi si faceva l’impresa a Madrid, Dybala stava già decidendo se mettere o no l’idromassaggio nella sua nuova casa di Torino.

Adesso asse Roma-Berlino per far la storia ancora una volta, e non chiedetevi il perché o il per come, siamo da sempre destinati  ad essere quassù, anche quando in un pomeriggio afoso di 9 anni l’1-1 lo si strappava a fatica contro il Rimini.